Mercoledì, giovedì, venerdì: ogni giorno telefonata alla clinica per aggiornamenti. Il mercoledì, a dirla tutta, faccio un salto in clinica di persona, in compagnia di Giorgio che si fa davvero in quattro; almeno lui, con i dottori, parla da pari a pari... Ma il veterinario che lo segue mi guarda con il terrore negli occhi quando chiedo di poterlo vedere. A quanto pare, il piccolo mostro ha straziato le orecchie di tutti i presenti da ieri notte fino a poco fa... Credo abbia smesso per sfinimento, ma presto tornerà attivo ed ululante. Meglio non anticipare quel momento facendomi vedere... Anche perché in fondo, per lui, sarebbe il rinnovo di un abbandono. E per me, idem. La lontananza è dura, ma devo resistere; è per una buona causa, per la sua stessa pellaccia. Sono giorni in cui ritrovo la libertà di orari e movimento che avevo prima che il mostro entrasse nella mia vita: uscire senza tener d'occhio l'orologio per il rientro a casa, dormire mezz'ora di più al mattino, niente linoleum da pulire... Eppure tendo l'orecchio, mentre lavoro in ufficio, e mi sembra di sentire la sua voce provenire dal giardino; guardo fuori ed ho l'impressione di vederlo arrivare di corsa con le ruote... Mi viene in mente un verso di una bella canzone degli 883: "Senza averti qui / non è che ci si senta liberi". Io che non ho mai patito la mancanza di un essere umano, patisco, eccome, quella di uno dei miei pelosi. Del resto, già solo quando Skipper va in montagna con mia sorella, ne sento la mancanza, anche se so che il mio nuvolone bianco è in buone mani e si diverte.
Per telefono vengo a sapere che le cure proseguono e la zampa sgonfia: sono davvero ansiosa di vedere con i miei occhi quanto sia davvero sgonfiata... Sabato pomeriggio, all'una e mezza, sono in clinica. Il dottore mi consegna le istruzioni per la cura, due antibiotici più disinfezione accurata e ripetuta; circa il tempo necessario perché la ferita si rimargini, nessuno si sbilancia. Finalmente rivedo il mio piccolo: smagrito, un po' intontito, ma la zampa è perfettamente sgonfia... Stento a crederci. Ancora un passaggio sul tavolo di metallo, per l'ultima veloce medicazione e fasciatura prima di tornare a casa. Non è affatto finita qui, comunque, non posso e non devo dimenticarmelo: chiosa il dottore, con un sospiro, "E' un tentativo".
Ho già provveduto ad ordinare una zanzariera che protegga la cuccia esterna di Pablo, sotto la tettoia: nel frattempo, per un paio di giorni lo sistemerò in casa, ai piedi della scala. Intanto provvedo a massacrarlo di coccole: mamma rincara la dose. Persino Céline manifesta la gioia di rivederlo, sia pure a modo suo. Solo Skipper non fa nulla per nascondere il disappunto...
Sul carrellino si torna fin da subito, sia pure con molta gradualità. Proteggo con bende elastiche sia la ferita che gli anelli che sorreggono le zampe. La prima passeggiata è un trionfo: ormai tutto il vicinato, o almeno la parte cinofila di esso, conosce Pablo e segue giorno per giorno le sue vicende; tanti ci incontrano e si informano sulle novità. Lui, ormai una star consumata, riceve e dispensa coccole e si gode la popolarità. Certo, concedersi a tutti questi fan è faticoso, ma ahimè è il prezzo da pagare per la fama!
domenica 28 luglio 2013
Ce la siamo vista brutta...
...e poi, quando tutto sembra procedere a gonfie vele, capitano i guai. Beh, se devo essere davvero onesta, nel mio caso non è che i guai "capitino", così, per uno strano caso del destino. Di qualunque ambito dell'esistenza si parli, dal lavoro all'automobile ad una caffettiera sul fornello, compaiono perché io stessa faccio di tutto per evocarli: inconsapevolmente, spesso, e questa non è un'attenuante, anzi, è un'aggravante.
Contentissima della gioia di Pablo con il suo carrellino, commetto l'errore di lasciarlo "su ruote" per troppe ore consecutive. C'è anche da dire che il mostro, ora che ha conquistato l'autonomia del movimento, non vuol più saperne di stare a cuccia e manifesta il suo disappunto facendo ricorso a tutte le possibili modulazioni di voce che il genere canino abbia a disposizione, naturalmente al massimo volume. Così, complice anche il caldo, la zampa posteriore destra comincia a gonfiare. La colonna vertebrale di Pablo è fatta a "S"; in corrispondenza dei due anelli che sostengono le zampe a livello dell'inguine, la schiena è storta verso destra e, di conseguenza, l'anello di destra esercita sull'inguine una pressione più intensa. La circolazione, in quella zampa, è un affare più complicato: ragionamento molto acuto, il mio, se solo l'avessi elaborato prima che capitasse il patatrac...
La zampa "un po' gonfia" a sera diventa una salsiccia il mattino successivo, nonostante le ore trascorse a riposo nella cuccia. Con gran strazio delle mie orecchie e di quelle dei vicini, riduco la durata della permanenza di Pablo sul carrellino: un'ora al massimo, poi giù a nanna. Massaggi, ghiaccio, diuretico: niente da fare, la zampa è gonfia a dismisura e non accenna a migliorare. Pablo, com'è ovvio, non si accorge di nulla, visto che non ha alcuna sensibilità: non capisce il motivo di tanto trambusto e protesta vibratamente. Al terzo giorno in questa condizione, si va dalla bravissima dottoressa di fiducia della famiglia pelosa Agostini: il responso sarebbe tale da gelare il sangue nelle vene del piccolo, se solo potesse capire. Niente carrellino per un po': senza appello. E qui sono io a disubbidire: proprio niente niente, no... Carrellino almeno per le passeggiate igieniche, altrimenti il mostro dà di matto... Ed io pure!
La zampa non accenna a sgonfiare, è tesa come una zampogna e rigida. Ma il peggio deve ancora venire. La sciagurata domenica mattina del 14 luglio sistemo Pablo nella sua cuccia all'aperto, gli do una pulita al pelo con acqua e aceto e lo lascio a riposo poco più di due ore; è il turno degli altri due pelosi, da portare a spasso in compagnia di mia mamma. Noto una piccola sbucciatura all'inguine, colpa forse del gonfiore della zampa e dello sfregamento contro il sostegno del carrellino, ma, me tapina, ne sottovaluto l'importanza.
Al ritorno, è l'apocalisse: Pablo è tranquillo come sempre, ma nell'interno della zampa posteriore destra manca la pelle su un'area grande un palmo... Lì per lì resto senza parole: come è possibile che si sia staccato un pezzo di carne? Eppure qui intorno non c'è nulla... Poi guardo meglio e capisco: decine di minuscoli, disgustosissimi vermi stanno facendo banchetto della zampa. Resisto a fatica alla tentazione di svenire, mi fiondo in casa, mi aggrappo al telefono: chiamo immediatamente l'altro dottore di fiducia nonché mio amico e compagno di corse. "Pablo ha i vermi!!!!!!", urlo in preda alla disperazione. Acqua ossigenata, subito, a fiumi, per farli uscire tutti in superficie, per levarli via uno ad uno. Do fondo ai due barattoli che ho in casa, mentre mamma fila a spron battuto al supermercato per comprarne dell'altra; combatto contro un disgusto senza fine, io che svengo ogni volta che mi presento alla Fidas per la donazione, già alla vista del piccolo ago per la prova della glicemia. Mosche stramaledette... Con immensa fatica, dati i quasi trenta chili di Pablo e la difficoltà nel trasportare un peso con la forma e la vitalità di un cucciolo, trascino il mostro su per le scale, al primo piano, dritto dritto nella vasca da bagno, per lavare via tutti i residui di quelle bestiacce immonde dalla ferita e dal pelo, e poi ancora acqua ossigenata, Betadine, fasciatura... La ferita è impressionante, enorme, profonda, maleodorante. Ed io sono annichilita. Quella zampa martoriata, gonfia ed adesso anche squarciata... Nel pomeriggio, Giorgio viene a controllare la situazione e ad accertarsi che tutte le larve della mosca carnaria siano state rimosse. Sono certa che, visto il mio stato, mi voglia nascondere la reale gravità del danno. Disinfettare, fasciare, continuare con il diuretico ed aggiungere un antibiotico: per oggi, con le farmacie chiuse, l'Amoxicillina può andar bene. In casa ne ho.
Serve a poco chiudere il recinto quando i buoi sono scappati... Nonostante tutte le premure, il lunedì - giorno del mio trentaduesimo compleanno, il più angoscioso della mia esistenza - Pablo non migliora. Non si accorge di nulla, lui, è vivace e vitale ed incontenibile come sempre; mangia con buon appetito, ma quella zampa è sempre peggio. La ferita emana un odore che fatico davvero tanto a sopportare. Martedì, altro consulto veterinario: il responso è di quelli che tagliano le gambe, è proprio il caso di dirlo, perché le alternative sono due: o l'amputazione di entrambe le zampe, con disarticolazione a livello dell'anca, oppure... Soppressione. Altrimenti, l'infezione galoppante presto si estenderà oltre la zampa, con le conseguenze che si possono immaginare. Stringo il testone di Pablo tra le mani e piango come una fontana, mentre la dottoressa mi spiega quel che io stessa so essere giusto e razionale. All'amputazione mi rifiuto anche solo di pensare: Pablo resterebbe un tronco, si trascinerebbe strisciando sui genitali, senza contare la tortura di un intervento chirurgico di quella portata e soprattutto senza contare il fatto che, nemmeno così, si potrebbe avere alcuna garanzia di fermare l'infezione. La soppressione... Guardo Pablo che ansima per l'agitazione, qui sul pavimento dello studio, e mi lecca le mani con la sua linguona ruvida; guardo i suoi occhietti vispi e pieni di voglia di vivere... E poi guardo quella zampa ormai quasi in cancrena, deforme, sfregiata. La parte razionale di me ha già deciso: solo, non adesso, non oggi. Voglio tenerlo con me ancora un giorno, stargli vicino questa notte, riempirlo di coccole e cose buone, e poi domani pomeriggio tornerò qui.
Esco dall'ambulatorio con la sensazione di chi non ha più la terra sotto i piedi. Non capisco, una settimana fa eravamo così felici con le ruote nuove... E adesso...
Trascorro il pomeriggio fisicamente in ufficio, ma non sono presente. Non so cosa possano pensare, i clienti che passano di qua, dei miei occhi rossi e gonfi. Probabilmente mi scappa qualche risposta che c'entra con le domande come i cavoli a merenda. Scappo da Pablo, nel frattempo sistemato in casa ai piedi della scala, ogni volta che posso, ed ogni volta lui mi accoglie come se non mi vedesse da secoli. Non posso credere che domani sarà tutto finito... Mamma tace, cerca di farmi coraggio ma è distrutta quanto me. Eppure cosa posso fare? Se almeno l'operazione potesse lasciargli due moncherini... Ma la piaga è proprio nell'interno coscia, estesa fino all'inguine. Cosa ne sarebbe di lui, se anche sopravvivesse? No, non posso accettare l'accanimento terapeutico, non lo voglio neppure per me stessa, sarebbe follia.
Arriva la sera. Resto in ufficio, avrei un sacco di incombenze da sbrigare; in realtà mi aggiro come uno zombie, non so dove sbattere la testa. Ho appena medicato il piccolo; quella ferita è indescrivibile, ormai necrotica. Disperazione... Pazienza che il lavoro stia andando a pallino, pazienza che i rapporti familiari si siano sgretolati, pazienza che la mia vita stia correndo troppo in fretta verso il burrone... Ma perché anche Pablo? Perché lui? Non ha ancora patito abbastanza? Forse chi l'ha ridotto così, spezzandogli la schiena, non è ancora soddisfatto della prodezza?
Mi chiama Matteo, da Genova. Sa già tutto, vuol venire a salutare Pablo per l'ultima volta. Cerco di dissuaderlo, ma in realtà la sua presenza sarebbe per me un sollievo immenso, per quanto possa esserci sollievo in questa situazione... Partirà poco dopo le otto, alla chiusura del negozio.
...ma non ha senso, non può avere senso uccidere una creatura così. Pablo è troppo gioioso. Possibile che non ci sia una terza alternativa? Benedetto telefono, mi ci appendo, chiamo Giorgio, il dottore: "Senti, lo so che mi mandi al diavolo, ma io voglio fare ancora un tentativo. Voglio portare Pablo in clinica, adesso". Il primo pensiero va ad una struttura di Piossasco: ma non risponde nessuno. Mi dirotto quindi a Torino, alla Clinica Veterinaria Vercelli, dove avevo già portato Pablo per le radiografie: Giorgio chiama per me; mi riferisce che il Pronto Soccorso è effettivamente operativo anche di notte. Mamma mette a disposizione l'auto, visto che la mia è momentaneamente KO dal meccanico; il povero Matteo, suo malgrado, appena arrivato qui, alle dieci e mezza passate, è costretto a rimettersi in marcia, alla guida, destinazione Torino, corso Traiano. Pablo, nel bagagliaio appositamente allargato abbattendi i sedili, strilla e strepita e distrugge i fogli di giornale messi a protezione dei sedili.
La notte è davvero di quelle buie e tempestose: un vento gelido s'infila dai finestrini; il cielo nero è squarciato di lampi; la periferia di Torino, ancor più squallida. Matteo ed io abbiamo il cuore in gola; combattiamo per ostentare una calma che nessuno dei due ha. Vorrei non arrivare mai a destinazione... La luce gialla dei lampioni rende tutto più sinistro. So bene che sarà inutile, ma non posso rassegnarmi così, senza tentare il tutto per tutto. Se poi mi diranno che non c'è nulla da fare, allora chinerò il capo e non riporterò Pablo a casa.
Scarico Pablo davanti all'ingresso della clinica, con la vetrina oscurata ed illuminata da una fioca luce. Da dentro provengono delle voci; forse non siamo gli unici pazienti notturni. Pablo impazzisce annusando mille odori interessanti nell'aiuola, mentre io lo sostengo a fatica con il sospensore. Ci accoglie un veterinario giovane, gentile, con un bellissimo viso ed occhi dello stesso colore blu-verde del camice: giù in sala d'attesa, mentre viene congedato il paziente canino prima di noi. Pochi minuti di angoscia: Matteo, pur non avendo cani suoi - per il luogo in cui vive ed il suo lavoro, non potrebbe proprio - si è affezionato ai miei nella stessa maniera viscerale in cui li amo io. A Pablo in particolare, forse perché tanto affettuoso e sfortunato.
Con le lacrime a stento trattenute, seguiamo il dottore in una delle stanze dell'ambulatorio e solleviamo Pablo, per niente contento del trattamento, sul tavolo di metallo. L'ennesima vista di quella ferita rischia di mandarmi a gambe all'aria...
Il dottore non è così pessimista, anzi. Le sue parole hanno l'effetto di una maschera di ossigeno sul viso di un uomo che non respira più, o magari la dose di eroina per il tossico in crisi di astinenza. La situazione è grave ma non irreparabile... Bisogna pulire la ferita, asportare le parti necrotiche, sottoporre il piccolo ad un esame batteriologico per individuare l'antibiotico più adatto. Questo dottore con Pablo è tenerissimo, lo accarezza, gli fa le moine... Matteo è fuori di sé dalla gioia; dal canto mio, io cerco di tenere a freno l'entusiasmo, perché ho troppa paura della disillusione... In fondo, la medicina non è una scienza esatta; da profano, non puoi mai sapere qual è il medico che azzecca la diagnosi, fino a quando non vedrai davvero i risultati della cura. Ergo, da profana, non voglio gioire prima del tempo... Ma quel che è certo è che Pablo avrà salva la cotenna ancora per qualche giorno. Cominciamo ad accontentarci di questo.
Potrei riportarlo a casa e seguire le istruzioni per la medicazione, e poi tornare in clinica domani... Ma non me la sento davvero. Nonostante il dottore quasi suggerisca che non è il caso, insisto perché Pablito resti ricoverato lì, sotto controllo continuo di occhi e mani esperte. Gli accarezzo ancora una volta il testone, gli chiedo scusa... Il mostro finisce in sala degenza, in un bel box, lindo e piastrellato, con tanto di scarico centrale per la pipì. Certo, è una gabbia: Pablo non tarda a manifestare con violenza vocale il suo disappunto, tanto che mi si stringe il cuore a voltargli le spalle e ad andare via. Ma credo che la penitenza peggiore toccherà al povero whippet nella gabbia accanto, unico altro degente: ha un'aria tristissima e sofferente e gli toccherà sorbirsi per tutta la notte il concerto per corde vocali...
Avviso Giorgio delle novità: anche lui è ancora sveglio, a mezzanotte passata, in pena per il peloso. Rientro a casa con il cuore appallottolato come un pezzetto di stagnola per alimenti. Troppo presto per realizzare cosa sia successo. Fuori dell'auto infuria l'acquazzone, dentro c'è una calma quasi irreale... Potrei sgonfiarmi come il pallone airbag. Grazie Matteo. Domani, appena possibile, telefonerò alla clinica per avere notizie. Ora però mi serve una lunga notte ristoratrice.
Contentissima della gioia di Pablo con il suo carrellino, commetto l'errore di lasciarlo "su ruote" per troppe ore consecutive. C'è anche da dire che il mostro, ora che ha conquistato l'autonomia del movimento, non vuol più saperne di stare a cuccia e manifesta il suo disappunto facendo ricorso a tutte le possibili modulazioni di voce che il genere canino abbia a disposizione, naturalmente al massimo volume. Così, complice anche il caldo, la zampa posteriore destra comincia a gonfiare. La colonna vertebrale di Pablo è fatta a "S"; in corrispondenza dei due anelli che sostengono le zampe a livello dell'inguine, la schiena è storta verso destra e, di conseguenza, l'anello di destra esercita sull'inguine una pressione più intensa. La circolazione, in quella zampa, è un affare più complicato: ragionamento molto acuto, il mio, se solo l'avessi elaborato prima che capitasse il patatrac...
La zampa "un po' gonfia" a sera diventa una salsiccia il mattino successivo, nonostante le ore trascorse a riposo nella cuccia. Con gran strazio delle mie orecchie e di quelle dei vicini, riduco la durata della permanenza di Pablo sul carrellino: un'ora al massimo, poi giù a nanna. Massaggi, ghiaccio, diuretico: niente da fare, la zampa è gonfia a dismisura e non accenna a migliorare. Pablo, com'è ovvio, non si accorge di nulla, visto che non ha alcuna sensibilità: non capisce il motivo di tanto trambusto e protesta vibratamente. Al terzo giorno in questa condizione, si va dalla bravissima dottoressa di fiducia della famiglia pelosa Agostini: il responso sarebbe tale da gelare il sangue nelle vene del piccolo, se solo potesse capire. Niente carrellino per un po': senza appello. E qui sono io a disubbidire: proprio niente niente, no... Carrellino almeno per le passeggiate igieniche, altrimenti il mostro dà di matto... Ed io pure!
La zampa non accenna a sgonfiare, è tesa come una zampogna e rigida. Ma il peggio deve ancora venire. La sciagurata domenica mattina del 14 luglio sistemo Pablo nella sua cuccia all'aperto, gli do una pulita al pelo con acqua e aceto e lo lascio a riposo poco più di due ore; è il turno degli altri due pelosi, da portare a spasso in compagnia di mia mamma. Noto una piccola sbucciatura all'inguine, colpa forse del gonfiore della zampa e dello sfregamento contro il sostegno del carrellino, ma, me tapina, ne sottovaluto l'importanza.
Al ritorno, è l'apocalisse: Pablo è tranquillo come sempre, ma nell'interno della zampa posteriore destra manca la pelle su un'area grande un palmo... Lì per lì resto senza parole: come è possibile che si sia staccato un pezzo di carne? Eppure qui intorno non c'è nulla... Poi guardo meglio e capisco: decine di minuscoli, disgustosissimi vermi stanno facendo banchetto della zampa. Resisto a fatica alla tentazione di svenire, mi fiondo in casa, mi aggrappo al telefono: chiamo immediatamente l'altro dottore di fiducia nonché mio amico e compagno di corse. "Pablo ha i vermi!!!!!!", urlo in preda alla disperazione. Acqua ossigenata, subito, a fiumi, per farli uscire tutti in superficie, per levarli via uno ad uno. Do fondo ai due barattoli che ho in casa, mentre mamma fila a spron battuto al supermercato per comprarne dell'altra; combatto contro un disgusto senza fine, io che svengo ogni volta che mi presento alla Fidas per la donazione, già alla vista del piccolo ago per la prova della glicemia. Mosche stramaledette... Con immensa fatica, dati i quasi trenta chili di Pablo e la difficoltà nel trasportare un peso con la forma e la vitalità di un cucciolo, trascino il mostro su per le scale, al primo piano, dritto dritto nella vasca da bagno, per lavare via tutti i residui di quelle bestiacce immonde dalla ferita e dal pelo, e poi ancora acqua ossigenata, Betadine, fasciatura... La ferita è impressionante, enorme, profonda, maleodorante. Ed io sono annichilita. Quella zampa martoriata, gonfia ed adesso anche squarciata... Nel pomeriggio, Giorgio viene a controllare la situazione e ad accertarsi che tutte le larve della mosca carnaria siano state rimosse. Sono certa che, visto il mio stato, mi voglia nascondere la reale gravità del danno. Disinfettare, fasciare, continuare con il diuretico ed aggiungere un antibiotico: per oggi, con le farmacie chiuse, l'Amoxicillina può andar bene. In casa ne ho.
Serve a poco chiudere il recinto quando i buoi sono scappati... Nonostante tutte le premure, il lunedì - giorno del mio trentaduesimo compleanno, il più angoscioso della mia esistenza - Pablo non migliora. Non si accorge di nulla, lui, è vivace e vitale ed incontenibile come sempre; mangia con buon appetito, ma quella zampa è sempre peggio. La ferita emana un odore che fatico davvero tanto a sopportare. Martedì, altro consulto veterinario: il responso è di quelli che tagliano le gambe, è proprio il caso di dirlo, perché le alternative sono due: o l'amputazione di entrambe le zampe, con disarticolazione a livello dell'anca, oppure... Soppressione. Altrimenti, l'infezione galoppante presto si estenderà oltre la zampa, con le conseguenze che si possono immaginare. Stringo il testone di Pablo tra le mani e piango come una fontana, mentre la dottoressa mi spiega quel che io stessa so essere giusto e razionale. All'amputazione mi rifiuto anche solo di pensare: Pablo resterebbe un tronco, si trascinerebbe strisciando sui genitali, senza contare la tortura di un intervento chirurgico di quella portata e soprattutto senza contare il fatto che, nemmeno così, si potrebbe avere alcuna garanzia di fermare l'infezione. La soppressione... Guardo Pablo che ansima per l'agitazione, qui sul pavimento dello studio, e mi lecca le mani con la sua linguona ruvida; guardo i suoi occhietti vispi e pieni di voglia di vivere... E poi guardo quella zampa ormai quasi in cancrena, deforme, sfregiata. La parte razionale di me ha già deciso: solo, non adesso, non oggi. Voglio tenerlo con me ancora un giorno, stargli vicino questa notte, riempirlo di coccole e cose buone, e poi domani pomeriggio tornerò qui.
Esco dall'ambulatorio con la sensazione di chi non ha più la terra sotto i piedi. Non capisco, una settimana fa eravamo così felici con le ruote nuove... E adesso...
Trascorro il pomeriggio fisicamente in ufficio, ma non sono presente. Non so cosa possano pensare, i clienti che passano di qua, dei miei occhi rossi e gonfi. Probabilmente mi scappa qualche risposta che c'entra con le domande come i cavoli a merenda. Scappo da Pablo, nel frattempo sistemato in casa ai piedi della scala, ogni volta che posso, ed ogni volta lui mi accoglie come se non mi vedesse da secoli. Non posso credere che domani sarà tutto finito... Mamma tace, cerca di farmi coraggio ma è distrutta quanto me. Eppure cosa posso fare? Se almeno l'operazione potesse lasciargli due moncherini... Ma la piaga è proprio nell'interno coscia, estesa fino all'inguine. Cosa ne sarebbe di lui, se anche sopravvivesse? No, non posso accettare l'accanimento terapeutico, non lo voglio neppure per me stessa, sarebbe follia.
Arriva la sera. Resto in ufficio, avrei un sacco di incombenze da sbrigare; in realtà mi aggiro come uno zombie, non so dove sbattere la testa. Ho appena medicato il piccolo; quella ferita è indescrivibile, ormai necrotica. Disperazione... Pazienza che il lavoro stia andando a pallino, pazienza che i rapporti familiari si siano sgretolati, pazienza che la mia vita stia correndo troppo in fretta verso il burrone... Ma perché anche Pablo? Perché lui? Non ha ancora patito abbastanza? Forse chi l'ha ridotto così, spezzandogli la schiena, non è ancora soddisfatto della prodezza?
Mi chiama Matteo, da Genova. Sa già tutto, vuol venire a salutare Pablo per l'ultima volta. Cerco di dissuaderlo, ma in realtà la sua presenza sarebbe per me un sollievo immenso, per quanto possa esserci sollievo in questa situazione... Partirà poco dopo le otto, alla chiusura del negozio.
...ma non ha senso, non può avere senso uccidere una creatura così. Pablo è troppo gioioso. Possibile che non ci sia una terza alternativa? Benedetto telefono, mi ci appendo, chiamo Giorgio, il dottore: "Senti, lo so che mi mandi al diavolo, ma io voglio fare ancora un tentativo. Voglio portare Pablo in clinica, adesso". Il primo pensiero va ad una struttura di Piossasco: ma non risponde nessuno. Mi dirotto quindi a Torino, alla Clinica Veterinaria Vercelli, dove avevo già portato Pablo per le radiografie: Giorgio chiama per me; mi riferisce che il Pronto Soccorso è effettivamente operativo anche di notte. Mamma mette a disposizione l'auto, visto che la mia è momentaneamente KO dal meccanico; il povero Matteo, suo malgrado, appena arrivato qui, alle dieci e mezza passate, è costretto a rimettersi in marcia, alla guida, destinazione Torino, corso Traiano. Pablo, nel bagagliaio appositamente allargato abbattendi i sedili, strilla e strepita e distrugge i fogli di giornale messi a protezione dei sedili.
La notte è davvero di quelle buie e tempestose: un vento gelido s'infila dai finestrini; il cielo nero è squarciato di lampi; la periferia di Torino, ancor più squallida. Matteo ed io abbiamo il cuore in gola; combattiamo per ostentare una calma che nessuno dei due ha. Vorrei non arrivare mai a destinazione... La luce gialla dei lampioni rende tutto più sinistro. So bene che sarà inutile, ma non posso rassegnarmi così, senza tentare il tutto per tutto. Se poi mi diranno che non c'è nulla da fare, allora chinerò il capo e non riporterò Pablo a casa.
Scarico Pablo davanti all'ingresso della clinica, con la vetrina oscurata ed illuminata da una fioca luce. Da dentro provengono delle voci; forse non siamo gli unici pazienti notturni. Pablo impazzisce annusando mille odori interessanti nell'aiuola, mentre io lo sostengo a fatica con il sospensore. Ci accoglie un veterinario giovane, gentile, con un bellissimo viso ed occhi dello stesso colore blu-verde del camice: giù in sala d'attesa, mentre viene congedato il paziente canino prima di noi. Pochi minuti di angoscia: Matteo, pur non avendo cani suoi - per il luogo in cui vive ed il suo lavoro, non potrebbe proprio - si è affezionato ai miei nella stessa maniera viscerale in cui li amo io. A Pablo in particolare, forse perché tanto affettuoso e sfortunato.
Con le lacrime a stento trattenute, seguiamo il dottore in una delle stanze dell'ambulatorio e solleviamo Pablo, per niente contento del trattamento, sul tavolo di metallo. L'ennesima vista di quella ferita rischia di mandarmi a gambe all'aria...
Il dottore non è così pessimista, anzi. Le sue parole hanno l'effetto di una maschera di ossigeno sul viso di un uomo che non respira più, o magari la dose di eroina per il tossico in crisi di astinenza. La situazione è grave ma non irreparabile... Bisogna pulire la ferita, asportare le parti necrotiche, sottoporre il piccolo ad un esame batteriologico per individuare l'antibiotico più adatto. Questo dottore con Pablo è tenerissimo, lo accarezza, gli fa le moine... Matteo è fuori di sé dalla gioia; dal canto mio, io cerco di tenere a freno l'entusiasmo, perché ho troppa paura della disillusione... In fondo, la medicina non è una scienza esatta; da profano, non puoi mai sapere qual è il medico che azzecca la diagnosi, fino a quando non vedrai davvero i risultati della cura. Ergo, da profana, non voglio gioire prima del tempo... Ma quel che è certo è che Pablo avrà salva la cotenna ancora per qualche giorno. Cominciamo ad accontentarci di questo.
Potrei riportarlo a casa e seguire le istruzioni per la medicazione, e poi tornare in clinica domani... Ma non me la sento davvero. Nonostante il dottore quasi suggerisca che non è il caso, insisto perché Pablito resti ricoverato lì, sotto controllo continuo di occhi e mani esperte. Gli accarezzo ancora una volta il testone, gli chiedo scusa... Il mostro finisce in sala degenza, in un bel box, lindo e piastrellato, con tanto di scarico centrale per la pipì. Certo, è una gabbia: Pablo non tarda a manifestare con violenza vocale il suo disappunto, tanto che mi si stringe il cuore a voltargli le spalle e ad andare via. Ma credo che la penitenza peggiore toccherà al povero whippet nella gabbia accanto, unico altro degente: ha un'aria tristissima e sofferente e gli toccherà sorbirsi per tutta la notte il concerto per corde vocali...
Avviso Giorgio delle novità: anche lui è ancora sveglio, a mezzanotte passata, in pena per il peloso. Rientro a casa con il cuore appallottolato come un pezzetto di stagnola per alimenti. Troppo presto per realizzare cosa sia successo. Fuori dell'auto infuria l'acquazzone, dentro c'è una calma quasi irreale... Potrei sgonfiarmi come il pallone airbag. Grazie Matteo. Domani, appena possibile, telefonerò alla clinica per avere notizie. Ora però mi serve una lunga notte ristoratrice.
sabato 13 luglio 2013
I Pablodanni
In caso l'avessi dimenticato, le Pabloruote mi riportano immediatamente alla memoria quel che significa avere a che fare con un cucciolo. E' vero, Pablo ha ormai sette mesi, è già qualcosa di più di un cucciolo, ma è in credito con la vita; comincia solo adesso a scoprire il mondo... Ed a fare danni. Il più classico dei classici: rosicchiare tutto quel che capita a tiro, meglio se non commestibile, meglio se pericoloso per la sua stessa incolumità. La cuccia di Céline, per esempio, oppure le cassette della frutta accumulate in giardino perché "non si sa mai, possono servire": tante belle schegge di legno, magari anche qualche gancio di ferro appuntito e un po' arrugginito per dare più gusto. Le maglie stese che il vento fa cadere e che una massaia incapace e distratta come me non raccoglie. Poi c'è il tubo di irrigazione del giardino; la tenda da campeggio, incautamente lasciata a livello terra, chiusa nel suo sacco: ecco, adesso c'è una presa d'aria in più nel telo di copertura. "Merito" delle ruote...
"Il bionico", l'ha ribattezzato mia sorella. In effetti, con quella struttura di alluminio fa la sua porca figura da alieno. Però è bene che gli umani si muniscano di parastinchi: io ho già perso il conto dei lividi nei polpacci, perché è ovvio, il piccolo s'è affezionato, vuol farmi le feste ogni volta che mi vede ed ha un'onda d'urto mica da ridere... Ed un mira eccezionale con gli spuntoni del carrellino. Ed ha già capito, il piccolo terrorista, che razza di sentimentalona io sia: non riesco a sgridarlo, se penso a quel che ha già patito questo piccolo. Considero i miei lividi come una sorta di acconto dell'espiazione del genere umano nei suoi confronti. Il guaio è che non so se altri che dovessero entrare in giardino siano disposti allo stesso sacrificio...
Capita anche che una conoscente di mia mamma, incauta, lasci la borsa della spesa in giardino, accanto all'ingresso, prima di entrare per far quattro chiacchiere. Il piccolo delinquente, quatto quatto, non si fa scappare l'occasione. Per puro caso esco dall'ufficio: lo trovo intento a sbranare un ultimo brandello di plastica per alimenti. L'estremo residuo di un pacchetto contenente due etti di prosciutto, carta e, appunto, involucro di plastica. Solo il caso fa sì che io possa così mettere in salvo il resto della spesa. Ho l'impressione che Pablo mi costerà parecchio in fatto di danni. Per fortuna, ogni tanto esagera con l'entusiasmo e si ribalta, restando con le ruote all'aria e lo sguardo perplesso: mi verrebbe quasi voglia di lasciarlo lì...
"Il bionico", l'ha ribattezzato mia sorella. In effetti, con quella struttura di alluminio fa la sua porca figura da alieno. Però è bene che gli umani si muniscano di parastinchi: io ho già perso il conto dei lividi nei polpacci, perché è ovvio, il piccolo s'è affezionato, vuol farmi le feste ogni volta che mi vede ed ha un'onda d'urto mica da ridere... Ed un mira eccezionale con gli spuntoni del carrellino. Ed ha già capito, il piccolo terrorista, che razza di sentimentalona io sia: non riesco a sgridarlo, se penso a quel che ha già patito questo piccolo. Considero i miei lividi come una sorta di acconto dell'espiazione del genere umano nei suoi confronti. Il guaio è che non so se altri che dovessero entrare in giardino siano disposti allo stesso sacrificio...
Capita anche che una conoscente di mia mamma, incauta, lasci la borsa della spesa in giardino, accanto all'ingresso, prima di entrare per far quattro chiacchiere. Il piccolo delinquente, quatto quatto, non si fa scappare l'occasione. Per puro caso esco dall'ufficio: lo trovo intento a sbranare un ultimo brandello di plastica per alimenti. L'estremo residuo di un pacchetto contenente due etti di prosciutto, carta e, appunto, involucro di plastica. Solo il caso fa sì che io possa così mettere in salvo il resto della spesa. Ho l'impressione che Pablo mi costerà parecchio in fatto di danni. Per fortuna, ogni tanto esagera con l'entusiasmo e si ribalta, restando con le ruote all'aria e lo sguardo perplesso: mi verrebbe quasi voglia di lasciarlo lì...
venerdì 12 luglio 2013
Debutto in società
Il debutto delle PabloRuote in società a Carmagnola è quasi in sordina: giovedì mattina, o meglio giovedì notte, a passeggio alle quattro sotto il viale di fronte a casa ci siamo, guardacaso, solo noi. Una brezza leggera agita le foglie dei tigli, l'unico segno di vita. Dovrei cascare a terra dal sonno: invece, provvede l'entusiasmo a tenermi più sveglia ed allegra che mai. Pablo trotta come se l'appendice in alluminio fosse da sempre parte di lui: non si perde un odore che sia uno, schizza a zigzag, sotto ad una panca, dietro al bidone. Stento ancora a crederci. Pablo, così. è un cane quasi normale; autonomo quanto basta da poter restare in giardino a zampettare da solo, inseguire una palla, spostarsi per mangiare o per bere, esplorare il mondo. Non troppo però: è un carrellino, non un carro armato; meglio quindi evitare le aree più impervie del giardino. Ditemi quel che volete, ma io su quel musetto da cucciolo curioso leggo un bellissimo sorriso.
Pochi giorni e Pablito, tra i vicini, è già una star: basta un giro in centro, in una di quelle sere in cui d'estate io negozi restano aperti fino a tardi e molti si dedicano allo struscio, per fare collezione di sguardi allibiti, silenzi improvvisi che troncano le chiacchierate nei capannelli, qualche audace che si avvicina a chiedere ragione di un cane con le ruote. Novità e curiosità prima di tutto: poi, so benissimo che molti, a distanza di sicurezza, non risparmieranno commenti sarcastici e sprezzanti. Ma in molti l'entusiasmo e genuino: non puoi fingere l'amore per il genere canino, se non lo vivi e non lo conosci davvero. "Egli si va, sentendosi guardato, benignamente d'umiltà vestuto" e non si fa scappare una carezza che sia una; ha ragione mammà, si sente davvero cane! Con lui non si passa certo inosservati: è contenta anche mammà, che prima si crucciava perché convinta che l'intero orbe terracqueo non avesse altro da fare che scrutare i segni del suo handicap. Ora nessuno bada più a lei: non le baderebbe nemmeno se indossasse cappello e naso rosso da clown. E' Pablito che ruba la scena... Ed è indimenticabile il momento in cui, accanto a noi, compare un uomo in carrozzina che si avvicina e gli tende la mano. Sei ruote, due anime, lo stesso destino vigliacco. "Cosa gli è successo?", mi chiede l'uomo. Gli racconto, in breve, la storia. "Siete stati bravi a prendervene cura", aggiunge, senza staccare gli occhi di dosso a Pablo. Chissà se anche lui ha qualcuno che "si prende cura". Lo spero tanto. Se solo osassi, vorrei conservare questo momento in una foto. Ma esito a chiedere il permesso... E un attimo dopo è già troppo tardi. Ma forse è meglio così. Coraggio, Pablo, in fondo tu una gran fortuna ce l'hai. Sei nato cane; chi ti ha rotto le vertebre non ha spazzato via i sogni ed i progetti di una vita intera. Tu sei nato cane e ti basta poco per essere felice, anche così: una ciotola piena, una mano che ti accarezzi, un capolavoro di meccanica, alluminio e gomma per correre. E per vendicarti contro Céline dei tre mesi di dispetti che ti ha inflitto finora: sarà battaglia dura!
Le PabloRuote!
Non poteva sapere cosa volesse dire "correre", lui. O forse sì, lo sapeva perché vedeva correre Skipper e Céline, vedeva correre me che mi sforzavo di sostenerlo con il sospensore, mentre lui si lanciava in un inseguimento impossibile, ma non poteva avere nelle zampe la sensazione della corsa. Eppure non ho le traveggole: è vero, sono reduce da un'alzataccia alle tre di notte e cinquecento e passa km al volante, ma quel che vedo proprio la nuova versiona spider di Pablo. Questo piccolo diavolo peloso ha le ruote da due minuti scarsi e già trotta come un cavallino. Mi ricorda tanto le mitiche automobiline radiocomandate con cui giocavo in giardino da bambina, una delle mie passioni sfrenate di allora, con la differenza che qui non c'è nessun radiocomando... La guida è il cervellino gioioso di un cagnotto che oggi, per la prima volta, non ha più nulla da invidiare ai suoi scodinzolanti simili a quattro zampe motrici.
Tutto è cominciato su Internet, a dispetto di coloro che considerano la rete un passatempo per nullafacenti o, peggio, una sorta di strumento demoniaco di perdizione. A caccia di qualcosa o qualcuno che tratti carrellini per cani con handicap, perché sì, so che qualcosa del genere esiste. Mi imbatto nel sito "Carrellini del Mago", proprio quel che fa al caso mio e, soprattutto, di Pablo. Perdo ore incantata a scorrere le foto delle meravigliose creazioni di questo artigiano: cani di tutte le razze e non razze, di tutte le taglie, con problemi di vario genere, dalla paralisi alla mancanza di un arto alla debolezza dovuta alla vecchiaia; ciascuno con il proprio carrellino, fatto su misura. "Code felici" è il titolo dell'album di immagini. Ruote posteriori, ruote anteriori, quattro ruote, ce n'è per tutti i gusti e tutte le esigenze. E non solo per cani: anche per gatti, persino per conigli... Dulcis in fundo, tra i pelosi a rotelle c'è persino una nutria! Volgarmente detta la pantegana...
Mea culpa, impiego un po' di tempo a decidermi, un mese ed anche più. Nemmeno io conosco il vero motivo della mia inerzia, forse una segreta speranza di poter recuperare qualcosa della funzionalità delle zampe di Pablo, forse l'illusione di essergli io stessa sufficiente per le esigenze di movimento, forse il dubbio che tutto ciò in realtà non serva a nulla... Ma Pablo cresce, è sempre più pesante e sempre più vivace. Sollevarlo ed accompagnarlo a braccia diventa difficile e frustrante per entrambi; la sua camminata, così, è innaturale, sbilenca, brutta. Aggiungi le insistenze di un paio di amici e di mammà, quella che "non lo voglio neanche vedere quel cane": è lei che preme con più determinazione perché noi si vada tutti a Treviso, direttamente dal Mago. Ma mamma, possiamo farcelo spedire, il carrellino... "Ma così facciamo un viaggio insieme". Urca... Parole che non le ho mai sentito proferire in quasi 32 anni di esistenza. Ok, non c'è altro da aggiungere, si va a Treviso.
Il lavoro preparatorio è importante: tocca prender le misure di Pablo, in lungo ed in largo, e scattare qualche foto al modello più indisciplinato della storia della fotografia. Piantala, bestio, guarda che Dolce & Gabbana non ti ammetteranno mai ad una sfilata, se tu continui a cercar di mordere l'obiettivo della fotocamera! Compilo diligentemente il modulo d'ordine del carrellino, trovato sul sito internet: modulo realizzato con tutti i crismi, che richiede sì le misure, ma anche molti dati sull'origine e sulle abitudini di vita del candidato alle rotelle; tanti dettagli che io, da profana, avrei tralasciato... Compreso quello che il Mago stesso mi chiede di chiarire per telefono: le zampe paralizzate di Pablo sono rigide o si piegano?
Il Mago è mago di nome e di fatto. Tempo pochi giorni e mi annuncia, con la sua bellissima parlata veneta, che il carrellino è pronto. Detto, fatto: mercoledì 3 luglio, giorno del compleanno di mammà, mi butto giù dal materasso alle due e mezza, dopo essere andata a nanna a mezzanotte per incombenze di ufficio; mando a far la passeggiata i due bestioni bianchi, riempo le loro ciotole con la pappa già preparata il giorno prima; accompagno a spasso anche Pablo, con il sospensore; gli do la colazione ed una pastiglia di Killitam, per assicurare a lui un viaggio indolore ed a me un viaggio immune da crisi isteriche. Sveglio mamma, riporto le meraviglie bianche in casa, preparo uno scatolone con stracci, giornali vecchi, crocchette, acqua, ciotola, detergente per Pablo e detergente per l'auto in caso di catastrofi intestinali; preparo un'altra scatola con qualcosa da mettere sotto i denti per gli umani, recupero Pablo che nel frattempo ha ripreso a dormire, carico tutto nel bagagliaio della Zafira e la madre sul sedile passeggero. All'alba delle quattro e mezza, si parte. Avevo previsto, ed annunciato al Mago, il mio arrivo a Treviso intorno alle nove del mattino: in effetti, fino a Venezia tutto fila liscio; Pablo è tranquillo, stroncato dal Killitam; io sbadiglio dal sonno fino a slogarmi la mascella, ma resisto. In fondo, a me è sempre piaciuto tantissimo guidare, anche in autostrada. Mettermi al volante nella notte e guidare per chilometri e chilometri sempre uguali, con la radio a palla ed i pensieri liberi... Ho il sospetto che quello del camionista sarebbe stato un buon mestiere per me. Di certo più adatto di quello in cui mi sono malauguratamente imbattuta.
Un'uscita sbagliata dall'autostrada, una ventina di km per stradine disperse e paesini traboccanti di gente per le sagre, il panico a Treviso fanno sì che l'orario previsto di arrivo si allontani senza misericordia. Appartengo ancora alla vecchia scuola di quelli che detestano il navigatore e potrebbero scagliarlo fuori dal finestrino al secondo ordine che l'aggeggio osasse pronunciare... Per fortuna, il Mago è anche una validissima guida turistica telefonica. Uscita dalla tangenziale direzione aeroporto; semaforo, grossa rotonda; a sinistra, un semaforo, tre rotonde, alla terza a destra, poi subito a sinistra... Sono le undici passate quando finalmente il motore della Zafira trova pace.
Il piccolo Pablo, per non smentirsi, ricambia la gentilezza dell'accoglienza con una bella pipì sul pavimento del garage. Tempo un minuto ed eccolo prigioniero tra le sapienti mani del Mago, che gli mettono su le ruote e gli regalano, è proprio il caso di dirlo, le ali. Il botolo resta interdetto, ma solo per una frazione di secondo: alla luce abbacinante di questa splendida giornata estiva, lo vedo schizzare via come una saetta, fuori dal cortile, per la strada. All'altro capo del guinzaglio, il Mago. Partiti: un bel giro esplorativo tra le casette e le aiuole del quartiere; qualche foto, qualche filmato. Il Mago mi spiega per filo e per segno tutto quel che c'è da sapere sul carrellino: sistemazione, revisione, riparazioni, possibili problemi. In effetti, più guardo questo aggeggio e più mi meraviglio di quanto sia elementare nella struttura eppure geniale per le possibilità di movimento che offre al cane. La pettorina con i ganci per fissare le sbarre laterali, il supporto a cui legare le zampe posteriori perché non sfreghino a terra, la stoffa morbida per evitare piaghe all'inguine...Non c'è un solo particolare che non sia stato curato. Che persona stupenda, questo Mago. E Pablo? Lui trotta, quasi incredulo, e sorride... A me vien quasi da piangere, a mammà pure, ne sono sicura. Ma è nascosta dietro al suo telefonino, tutta presa dal ruolo di fotoreporter. Lei che non voleva saperne del telefonino, perché tanto "non sono capace, non imparo", e che adesso ha le dita della mano destra più allenate di quelle di Manolo, a furia di scrivere messaggini!
Improvvisiamo, il piccolo ed io, i cento metri piani nel bel mezzo della via: al primo giro, il galoppo è maestoso; al secondo giro, beh, quasi quasi gli attacco la corda per il traino... Ma povero piccolo, avrà tutto il tempo per allenarsi. Ci vorrà qualche giorno, mi spiega il Mago, perché i muscoli si riabituino alla posizione corretta. Le zampe anteriori, adesso, sono quasi deformi.
Osservo i due personaggi, uomo e cane: il primo quasi in ginocchio accanto all'altro, gli accarezza il testone. Uno così non può che essere una persona meravigliosa: uno che conosce davvero a fondo il mondo canino e che, soprattutto, lo ama.
Il momento del congedo porta con sé una buona dose di malinconia. Quasi mi dispiace andarmene, ma ora il carrellino c'è, le istruzioni le ho avute, bisogna togliere il disturbo. Carico in auto un Pablo ansimante e disfatto dalle troppe travolgenti novità, raccatto mammà che ha ormai colmato di foto la memoria del telefonino, saluto e metto in moto, senza saper esprimere un granello di quella valanga di gratitudine che provo per lui. Torniamo verso il centro di Treviso, per un giro turistico ed un gelato: Pablito ha avuto la sua pappa; noi umane, invece, siamo digiune dalle tre del mattino!
Il primo esperimento di sistemazione del carrellino in autonomia occupa un viale alberato nei pressi del centro: poche, semplicissime operazioni; il marchingegno si sistema con la stessa rapidità con cui i meccanici di Formula Uno completano il cambio gomme. Peccato che il quadrupede, al contrario di me, mal sopporti il caldo afoso trevigiano del primissimo pomeriggio; si sforza di trottare, ma non riesce a dissimulare una stanchezza infinita. Anche se, per salvare l'onore di maschio molosso, non si tira indietro quando c'è da litigare furiosamente con un bel pastore tedesco di guardia ad un giardino. Pablo, Pablo, puoi ringraziare che tra te e lui ci siano le sbarre...
La passeggiata è breve, ma sufficiente a destare la curiosità incredula di automobilisti e passanti. E' che il piccolo è proprio stremato: meglio non sfinirlo del tutto. Si torna all'auto, si carica il carrellino ed il fagotto informe che un attimo prima ci stava sopra e si riparte, destinazione Carmagnola, tra cinquecento e più km. In via del tutto eccezionale, proprio per il bene del mio carico peloso, per la prima volta da quando viaggio con la Zafira, accendo il condizionatore. Al minimo, beninteso, perché sono nemica giurata del condizionatore, amo la calura. Viaggiando verso ovest, non ce ne sarà più bisogno: sarà una robusta coltre di nuvolacce nere a sostituirne la funzione. Nei paraggi di casa ci accolgono tuoni, fulmini e saette: nulla, in confronto alle scintille che scoccheranno dalle Pabloruote da domani in poi!
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