lunedì 28 luglio 2014

Addio Pablo

"Pablo non c'è più".

E' una delle sere più belle da quando viviamo qui, Pablo, quella in cui hai scelto di andartene. Beh no, non è proprio così la faccenda. E' la sera in cui io ho scelto che tu te ne andassi. Credimi, Pablo, non avrei voluto che finisse così. Lo so, è molto comodo e consolante, ora che io sono qui a picchiar le dita sulla tastiera e tu sei là, sotto i pioppi. Ricordi? Ti ci avevo portato, un bel po' di tempo fa, alla peschiera di Virle, insieme ai cagnoni di Giorgio, quella bella Sanbernardo un po' grossolana e quel buffissimo botolo, Pluto. Ricordi le oche? Non sapevi cosa fossero, a momenti ti butti in acqua per l'entusiasmo, o forse perché avevi intuito che potesse trattarsi di qualcosa di commestibile.
Non sono qui per dirti adesso che le oche, le anatre, gli aironi ed il suono del vento tra le foglie dei pioppi ti terranno compagnia per l'eternità, perché so bene che non c'è nessuna eternità, anche se un po' invidio chi riesce a credere il contrario. Mi sarebbe di grande aiuto, adesso, poter credere il contrario. Purtroppo l'unica eternità, o comunque ciò che, rispetto alla breve esistenza a noi concessa, si può approssimare all'eternità, è quella per cui diverrai parte della terra che ora ti ricopre, per ragioni biologiche però, non spirituali.

Ho scelto io, ma solo perché non avevo scelta. Oh, lo so, non è di grande conforto, questo, per te. Non allevia affatto il peso di quel metro abbondante di zolle umide che ti pesa sul capoccione. Già l'anno scorso, più o meno a quest'epoca dell'estate, ero giunta ad un passo dalla decisione. Poi la clinica, il ricovero e, da quel momento senza più sosta, le medicine, le garze, le bende per la ferita all'inguine, quella brutta piaga proprio in corrispondenza del sostegno del tuo carrellino. Un supplizio, però a quel guaio avevamo messo una toppa. Poi la zampa che gonfiava: e qui chissà quante notti il buon Matteo ha passato in bianco per realizzarti un nuovo carrellino che potesse alleviare i guai della tua circolazione sanguigna precaria ed a singhiozzo. Qualche settimana di pace qua e là e poi un nuovo guaio, una nuova toppa, ora la sbucciatura, ora il gonfiore, ora la pipì con sangue... Ma sei sempre stato un tipo tosto, uno che tira avanti con la decisione di un caterpiller, uno che, con la stessa decisione, prende a capocciate i tronchi degli alberi: in senso metaforico ma anche reale; il ciliegio, qui in giardino, porta ancora i segni della collisione con il tuo cranio. C'è anche da dire che per te si è mobilitato mezzo mondo, tra cui il tuo fedelissimo dottore. Senza di lui, sarebbe stato tutto molto, ma molto più difficile. Dulcis in fundo, nella disgrazia, avevi un'immensa fortuna, quella di non provare alcun dolore, o meglio, di non avere alcuna sensibilità da metà schiena in giù.

Ma poi quella zampa, la posteriore sinistra. Subdola, ha cominciato a gonfiare, ma poco. Nulla di preoccupante. Almeno all'inizio. Poi, sempre di più, ancora di più. Una ferita, aperta chissà come grazie ad una delle tue tante corse folli con ribaltamento giù per il pendio. Uno dei tanti guai. per giorni e settimane, situazione stabile senza novità, fiumi di disinfettante e pulizie... E poi, la stagione calda, le mosche, gli antiparassitari, la zampa che gonfia a dismisura. La cancrena, già avanzata. Quella domenica pomeriggio, addormentato sul tavolo del dottore, la prima sentenza: "Se questo fosse il cane di un cliente qualsiasi, lo sopprimerei adesso. E' il tuo cane e per questo non lo faccio, ma sappi che è da fare". Poi, siccome ogni sentenza civile concede una possibilità di appello, ci si prova ancora: è il tuo dottore a prendere il coraggio a quattro mani, quasi cinque direi, tentando ancora la strada dell'amputazione della zampa, a livello dell'articolazione, mentre io, fuori dall'ambulatorio, scavo un fossato a furia di camminare avanti ed indietro. Perdonami ma non sarei stata fisicamente in grado di assistere. Ne esci vivo: addormentato, con un pezzetto in meno, ma vivo. Sono io che, per poco, non ci lascio le piume, a vedere il moncherino pelato e cucito con tanto di ricamo a punto croce, a respirare l'aria satura dell'odore del sangue e dei disinfettanti. Resisto quel tanto che basta per dare una mano a piazzarti sulla brandina, per la prima notte da dormire con un occhio solo. E non ti dico che gioia, farti le medicazioni. Lo so, è nulla il mio disagio, in confronto al tuo; sei tu che ci hai rimesso mezza zampa. Ma tu non senti nulla; quella zampa, già prima, era come se non ci fosse...

Purtroppo, la porzione di pelle e di muscolo destinata a ricoprire l'osso, asportata la parte necrotica, è molto risicata. Il dottore mi avverte subito: non è affatto scontato che la ferita non si riapra. E' un tentativo. Già, un tentativo in più quando io ero già quasi rassegnata all'idea di perderti. Ero molto scettica, lo ammetto, circa l'opportunità di questo intervento: mi sembrava una forma di accanimento terapeutico, una crudeltà inutile. Però, d'altra parte, mi son detta, "è anche vero che lui non sente dolore. Perché non provarci davvero?".

Non che ci credessi molto, ma mi sono abituata in fretta a vederti con il moncherino fasciato di bianco, In fondo, era cambiato poco, rispetto a prima. Era solo una questione estetica. Ti ho viziato, in questi ultimi quattro giorni, devi ammetterlo. Manicaretti e coccole. Dovevo farmi perdonare di averti più volte tempestato di scapaccioni e seriamente minacciato di morte quando hai tentato di uccidere il piccolo Paolino. Ora sì, ne provo rimorso, anche se la cosa suona parecchio ipocrita: però devi riconoscere che sei stato davvero una carogna con lui... Lo hai aggredito, lo hai ferito, lo hai costretto alla clausura, tutto perché sei sempre stato un cagnaccio ottuso e prepotente. Hai terrorizzato lui ed anche me. Ti ho odiato, lo sai? Sì che lo sai, te l'ho sibilato parecchie volte. Ti ho odiato davvero, almeno tanto quanto ho provato pena per il povero Paolino che invece è un cagnino piccolo, simpaticissimo e molto furbetto. Senza mai farti mancare nulla di ciò che mi ero impegnata a darti quando ti ho caricato in aereo e portato a casa, ti ho comunque odiato un bel po'. Ho smesso solo quando ho avuto sentore che non mi sarebbe più rimasto molto tempo per volerti bene. E tu, che, da quel testone stupidone che eri, avevi appena capito, dopo mesi e mesi, cosa volesse dire "prendi la palla"... Senza rancore, in quel momento mi hai portato la palla.

Ora non so se infliggerti l'amputazione sia stata la scelta migliore. Forse lo è stata per i cuori di chi ti ha amato, per liberarsi almeno del dubbio corrosivo di non aver tentato tutto il possibile. Certo non avrei mai voluto decidere, oggi, di dirti addio così, insomma, inutile girarci attorno: di ucciderti. Tu avevi voglia di vivere, di giocare, di abbaiare, e neanche percepivi la cancrena che ti stava divorando la zampa. Se fossi stato un cane sofferente, non avrei avuto dubbi. Ma tu oggi hai giocato con la palla, hai mangiato l'insalata di riso con le olive ed il pollo. Certo, non eri più l'incontenibile giocherellone di qualche tempo fa; il tuo corpo risentiva di tutte le frecce che il tuo destino balordo ti aveva inflitto. Ti ho portato a passeggio, ti ho caricato in auto, ho ascoltato con il cuore in gola il tuo insolito, immobile silenzio, che so di non poter associare, come vorrebbe la suggestione, al fatto che tu avessi capito il perché di quel viaggio. Guardavo, lungo la strada, la corona di montagne limpidissime, dopo tanti giorni di pioggia. Mi pareva un insulto, ma le montagne non ne avevano colpa.

Ti metto nelle mani di Giorgio a pochi passi dalla peschiera. So che non fa alcuna differenza, ma lì, sull'erba, tra il campo di granturco ed i pioppi... Piuttosto che sul tavolaccio di metallo. L'eco dei latrati di un cane in una casa poco lontana, un bel rottweiler con un testone come il tuo, risveglia il tuo istinto guerriero ed il tuo vocione... Ma l'anestesia ti sta già via le forze. Ti accucci, addormentato, proprio come facevi nel tuo cassettone. Come ti vedevo qualche volta al mattino presto, troppo presto, quand'era ancora buio e non volevi saperne di mettere le ruote. Anche qui, adesso, sembri un cucciolo troppo cresciuto, con la zampona sotto il muso a mo' di cuscino. Ti accarezzo la testa. Non ho il coraggio di guardare l'ago.

"Non c'è più". Questa volta, è l'ultimo grado di giudizio. 27 marzo 2013, 27 luglio 2014, una coincidenza, sedici mesi insieme. Per te, poco più di diciannove mesi di vita, troppo pochi. Ti devo tanto, Pablo, mi hai tirata via per i capelli dal pozzo in cui stavo per cadere, sei stato il calcio nel didietro che mi ha dato la spinta per cambiare tutto, casa e vita. Qualcuno ancora dice che costringerti a vivere, da paralitico, sia stato un atto di egoismo e crudeltà. Che un cane come te avrebbe dovuto essere soppresso subito. Io non ho ancora, adesso, l'animo di scorrere le tue fotografie, ma il cervello non si ferma, rumina e ricorda, ti vede correre come un forsennato, prima con il sospensore e la sottoscritta che ti caracolla dietro, e poi con le ruote, libero. Certo, non hai potuto vivere appieno da cane quattrozampe, ma ci sei andato molto, molto vicino, hai abbattuto un sacco di confini e superato, letteralmente, innumerevoli scalini. Ora è tutto finito. Torno a casa con il cuore sbriciolato come ghiaia: dalla cancellata mi attendono i tuoi fratelloni pelosi... Solo questa mattina, dietro di loro sei arrivato anche tu, con le rotelle, appena risalito dal fondo del giardino, con le enormi orecchie dritte e quei tuoi disgustosissimi candelotti di bava dalle labbra pendule. Stasera, dietro di loro, il tuo carrellino, immobile, vuoto. Dimmelo tu, Pablo: è valsa la pena, di vivere? Perdonami se ti metto in bocca una risposta che tu non hai pronunciato; forse non l'hai espressa con le parole, ma io sono certa che, con gli occhi, tu mi abbia detto almeno mille volte sì...


Grazie di cuore:
a Tanya e Filomena, che hanno salvato e curato un piccolissimo Pablo;
al dottor Giorgio Monasterolo, che non ha mai fatto mancare la sua assistenza, anche e soprattutto nelle ore e nei giorni meno ortodossi: notti, sabati, domeniche e feste comandate;
ad Alessandro di "Carrellini del Mago", che ha montato Pablo su ruote;
a Matteo Repetto, che è stato onnipresente sostegno morale e materiale di Pablo e della sua mamma, che ha lavorato di meccanica e carpenteria sul carrellino, che ha fatto da bambinaio al quattrozampe e da parafulmine per l'umana nei suoi momenti più bui;
a mamma, che da mamma non ha mai approvato l'impresa gravosa in cui mi sono buttata con Pablo, ma che lo ha amato quanto me e che per noi si è fatta in quattro, in otto, in sedici e anche di più
a tutti coloro che hanno donato a Pablo un giocattolo, una carezza, una parola, un gesto gentile, e che, vicino o lontani, hanno gioito e sofferto per lui.

Addio Pablo.

giovedì 1 maggio 2014

Trasloco

Eccomi qui! Eh sì, è passato un po' di tempo... Non è stato molto educato, da parte mia, sparire così senza più dare notizie. Il fatto è che, credetemi, sono stato molto impegnato. Ho l'impressione che il destino abbia proprio deciso di cancellare la parola "quiete" dal mio vocabolario. Eh sì. Prima scaraventato giù da un'auto, poi impacchettato e caricato nella stiva di un aereo, come un pacco postale, e infine... La peggiore di tutte le iatture: il trasloco. In verità, io mica sapevo cosa fosse un trasloco. Insomma, io ho cambiato casa sorvolando il mare, quand'ero ancora un cucciolo, eppure non ho fatto tutte queste storie. A me è bastata una borsa per portarmi dietro i giocattoli, le medicine, la coperta. La mia mamma umana, invece, per il suo trasloco ha mosso mari e monti: mobili, piatti, pentole, posate, vestiti, libri... Non è poi passato molto tempo, da quando ho cominciato a sentir parlare di una casa nuova a quando, nella casa nuova, mi sono ritrovato davvero. Il motivo? Non ne sono certo, ma si sa, noi cani non abbiamo solo un olfatto insuperabile. Abbiamo anche un imbattibile sesto senso: capiamo benissimo quel che ai "nostri" umani passa per la testa. Purtroppo non abbiamo la parola per darvi consiglio, ma abbiamo gli occhi e la coda per offrirvi conforto. Beh, io sono un po' meno fortunato, non posso disporre della mia coda, ma in compenso ho due occhioni enormi. Insomma: io l'ho capito subito, che la mia mamma umana non era felice, lì dov'era. Sempre tesa, sempre preoccupata, sempre troppo nervosa, anche con me. Certo, avere cura di me non è cosa facile né riposante; io sono un bel cinghialotto, spesso anche troppo vivace. Amo tanto stare al mondo ed a volte non riesco a contenere il mio entusiasmo, a tutte le ore del giorno e talvolta anche della notte. Ma si vedeva lontano un miglio che non erano la fatica o le ore piccole ad impensierire la mia bipede, che tutto sommato mi sembra una tipa tosta, fisicamente; una cinghialona pure lei. C'era qualcos'altro, anche nel suo chiedermi scusa di continuo perché non mi poteva tenere dentro casa con sé, nel portarmi le borse dell'acqua calda nella cuccia e le coperte, nelle fughe dall'ufficio per venire a portarmi il biscotto... Credo proprio che qualcuno non amasse affatto la mia presenza nei paraggi. Puzza, disturbo, cagnara, questo sentivo dire: la mia mamma umana ha fatto il possibile perché io non me ne accorgessi, ma era chiaro che qualcuno aveva ribrezzo di me. E lei, beh... Il core de mamma non conosce differenze di specie. Lei ha voluto, prima di tutto, il meglio possibile per me e per i miei due fratelloni bianchi, Skipper e Céline, senza se e senza ma. Ha impacchettato i suoi ed i nostri stracci e ci ha portati via.
"Fortuna audacies juvat", si dice. Beh, mi sembra che in questo caso il proverbio calzi a pennello. Per essere nata da un amalgama esplosivo di disperazione e di ostinazione, questa faccenda si è conclusa nel migliore dei modi, ma soprattutto dei luoghi possibili. Dal giardino della casa di Carmagnola, ampio sì, ma sacrificato tra il grigio opprimente dei muri dei palazzoni ed una cappa di ostilità anche più asfissiante dello stesso cemento, oggi mi ritrovo in un giardino ancora più ampio, tutto a disposizione mia e dei fratelloni. Qui, a Montaldo Roero, possiamo correre, abbaiare, ringhiare, e sì, anche sporcare dove e quanto più ci aggrada. Nessun bipede protesta, perché qui intorno di bipedi ce ne sono pochi e tutti provvisti di compagni di vita a quattro zampe. Addirittura, possiamo ricevere gli amici, perlomeno quelli abbastanza piccoli da passare in un buco sotto la recinzione metallica. Con gli altri intrecciamo fitte e ringhiosissime conversazioni attraverso la rete. E la mia mamma umana, nella sua casetta nuova circondata da frutteti e da vigne, ci tiene d'occhio dal balcone del primo piano. E si vede da lontano, anche dal fondo del giardino, che adesso è felice. Non credo di peccare di presunzione, affermando che un po' è stato anche merito mio...

Ad onor del vero, il mio trasloco non è stato proprio del tutto indolore. Se si fosse trattato di cambiare casa e basta, sarebbe stato uno scherzo. Ma c'era un pegno da pagare... E l'ho scoperto solo quando sono arrivato qui. Un piccolo, insulso, orribile grumo di pelo biondiccio infeltrito, che risponde al nome di Paolino e di cui la mia mamma umana ha avuto la sciagurata idea di innamorarsi perdutamente. La sua accoglienza, un abbaio isterico, incessante, stridulo, una vera offesa per me che sono un vero poderoso masculo siculo. O meglio, che ero un vero poderoso masculo siculo. Già, ero... Insomma, io quell'individuo molesto l'ho preso in odio appena l'ho visto: ma come... Mi toccherà mica dividere il giardino e le ciotole con questo figlio illegittimo del Mocio Vileda? Ahimè, proprio così. Io ci ho provato, ad aver pazienza, per non mancare di rispetto alla mia mamma umana. Ma quel mostriciattolo non mi dava pace, si prendeva troppa confidenza, era proprio invadente. Insomma, quando è troppo è troppo. Un giorno mi son saltati i nervi e l'ho addentato. Ma mica per scherzo eh! L'ho addentato proprio sul serio, con rabbia, come solo noi molossi sappiamo fare. Sono molto orgoglioso della mia molossità. Guai, non l'avessi mai fatto. L'umana è schizzata in giardino, con un impeto che mi ha spaventato, e mi ha levato il boccone dalle fauci... Il vigliacco, bruscamente sollevato per la collottola, le ha persino piantato i canini in un braccio, ma lei niente, non ha fatto una piega, lo ha portato in salvo lo stesso. E poi mi ha spianato il capoccione a suon di scapaccioni, strillando tanto da spaccarmi i timpani.
Ah, ma io non mi sono mica dato per vinto! Ci ho provato ancora, altre due o tre volte, a farlo fuori: insomma, quella sottospecie di spazzolone con le zampe mi provocava di continuo, si avvicinava e poi scappava... Io sarò anche paralitico, ma non sono pirla e, soprattutto, non sono disposto a lasciarmi impunemente canzonare. Ci teniamo, noi cani del Sud, all'onore. Tutte le volte, però, sono stato dissuaso a colpi di ramazza sulla zucca o travolto dal getto della gomma per l'irrigazione. La mia mamma umana, fuori di sé dalla rabbia, me l'aveva promesso: "Se non la pianti - urlava - ti taglio le palle!". Ahimé, avrei dovuto capirlo prima, che giocare di testa contro un'umana inferocita può essere altamente compromettente. Sul tavolo del veterinario, il suo amico connivente, armato di bisturi, son finito davvero. Certo, per carità, non è che i gioielli di famiglia mi fossero in qualche modo utili: la paralisi mi impediva di trarne beneficio, anzi, mi rendeva proprio impossibile accorgermi della loro esistenza. Però, anche l'occhio vuole la sua parte... E adesso l'occhio, in quel punto lì, non vede più altro che un sacchettino di pelle vuota. Pare che questo debba servire a rendermi un po' meno aggressivo. Chissà perché, allora, non si riserva a tanti umani lo stesso trattamento... A cominciare da quelli che mi hanno scaraventato giù dall'auto. Sono molto più pericolosi, quelli, di me. E poi, io non aggredisco così, per sfizio, senza motivo. Reagisco alle provocazioni, questo sì, non sono mica un Gandhi in forma canina. Non posso vendicarmi delle offese tracciando righe con una chiave sulla fiancata dell'auto del nemico, anche perché il mio nemico non ha un'auto e nemmeno una patente. Cos'altro potrei fare, se non mordere? Ad ogni buon conto, credo che sia meglio darmi una calmata, davvero, perché la promessa successiva è stata "Se non basta tagliarti le palle, giuro che la prossima volta ti taglio la testa!". E siccome la mia mamma umana è una che tende a mantenere le promesse...

martedì 4 febbraio 2014

I cretini...






Matteo ha passato ore, giorni, settimane a meditare sul tuo carrellino, per escogitare un sistema che ti impedisse di ribaltarti in corsa. E poi ore e giorni a provare, riprovare, smontare, avvitare, assemblare, forare, limare, riempirsi le mani di polvere. Ha sistemato le ruote svasate come quelle delle carrozzine dei maratoneti disabili; ha persino realizzato le rondelle a sezione obliqua, ha allungato la struttura, l'ha appesantita. Ha provveduto a tutto il possibile ed a molto di impossibile.

Poi io, una mattina, esco in giardino, preoccupata per il gran tonfo e per l'abbaio furioso di Skipper e Céline, e ti trovo così.

Com'è che si dice? "I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedire loro di nuocere". Ecco... Appunto.

giovedì 30 gennaio 2014

Ancora neve

C'è stato un breve periodo della mia esistenza in cui la neve mi piaceva. Da piccoli, siccome si era bambini senza fantasia, si faceva quel che tutti i bambini facevano: il pupazzo di neve ed il lancio di gelidi proiettili ben schiacciati con le mani. Mai che il pupazzo riuscisse come quelli che si vedevano nelle fotografie sui giornali o in TV, bello, liscio, armonico, con la carota al posto del naso, il cappello, i bottoni per gli occhi. I nostri pupazzi erano regolarmente storti, sbilenchi, di una tristezza tale che persino le nostre madri dovevano impegnarsi in uno sforzo ciclopico di menzogna per assicurarci che si trattava di capolavori. Eppure, fiduciosi, ogni volta che nevicava, ci si riprovava.

La neve era una festa quando la si poteva incontrare per scelta e non per forza; quando si poteva sì scendere a giocare in giardino, ma poi ci si ritirava al caldo del termosifone e di lì non ci si schiodava più. Ho cominciato ad odiarla ai tempi della scuola, dei viaggi da pendolare, del lavoro. Soprattutto, da quando mi sono innamorata dello sport, la corsa, la bici, la montagna. Freddolosa come sono... La detesto.

Tra ieri ed oggi, ne è caduta tutto sommato poca; quella poca si sta già sciogliendo, sembra. Per fortuna. Però il manto bianco ha resistito quel tanto che è bastato per permettere a Pablo di disegnarci sopra un groviglio inestricabile di rotaie, tale che ricostruire il suo arzigogolato percorso sarebbe quasi impossibile. Apro la finestra del primo piano e lo vedo là, in fondo al giardino, incurante del gelo: nero com'è, spicca evidentissimo. Per niente mimetico, direi. Lo osservo correre come una biglia impazzita: il suo carrellino, oggetto di mille modifiche frutto della fantasia ingegneristica del papà adottivo genovese, si solleva quasi da terra quando incoccia in un sasso o in una buca; le ruote travolgono tutto quel che trovano sul passaggio: guai se avessi mai pensato di dedicare un po' di spazio all'orto di casa....

Scendo in giardino per convincerlo che è ora di nanna. Nonostante in questi giorni stia trascorrendo pochissime ore sul carrellino, non oppone troppa resistenza. Il freddo pungente, l'umidità sul pelo, non piacciono nemmeno a lui. La sua sagoma nera, con i due siluri ben ritti sul testone, spunta da dietro lo spigolo della casa. Capisce, bontà sua, che lo sto chiamando; parte a razzo ed io già recito il requiem per le mie rotule... All'ultimo microsecondo, riesco a scansarmi e ad afferrarlo per la pettorina. E' troppo lanciato per improvvisare un cambio di direzione. Si ferma, sorride - sì, Pablo non può scodinzolare, ma sorride moltissimo! - e fa il possibile per saltare, come qualsiasi cane che ama metter le zampe addosso all'amico umano. Il guaio, povero piccolo, è che saltare con la sola spinta delle zampe anteriori è quasi impossibile, soprattutto per una bestiola della tua stazza. Dai, a nanna: strato spesso di giornali vecchi, due borse dell'acqua calda, il tappeto, qualche straccio per farti da cuscino. L'operazione di carico e scarico dal carrellino non è mai del tutto tranquilla e controllata: di solito il povero Pablo precipita rovinosamente su un fianco, rischiando puntualmente di essere travolto dal crollo strutturale della sottoscritta. Ore e ore di palestra per rinforzare le braccia e riuscire a maneggiarlo!

Rassegnati, Pablo. Il meteo annuncia cinque giorni di neve e pioggia. Comunque non preoccuparti: è già pronta la versione del carrellino anfibia!


giovedì 23 gennaio 2014

Ammiratori

Ora di pranzo e di palestra: borsa pronta, quattro coccole sul testone a Pablo ed una sistemata alle zampe carrello... Et voilà, si parte. Mi chiudo la porticina alle spalle: il mostro a rotelle resta lì, dietro le sbarre, a guardarmi andar via con quella sua espressione malinconica da generatore di sensi di colpa. "Sei sempre in giro, non passi mai un po' di tempo con me": glielo leggo negli occhi, il rimprovero. Pochi passi ed incrocio due anziani con le borse della spesa, di ritorno dal mercato. Mi volto, fingendo noncuranza; ormai so già come va a finire... Pablo, individuati i due estranei nel campo visivo, si affanna ad abbaiare furiosamente, con quel vocione che sembra provenire dalle più profonde cavità terrestri. Quelli lo guardano e tirano dritto; un istante dopo si fermano e guardano dinuovo, increduli: di lì in poi è tutto un allungar di colli, strabuzzare d'occhi, parlottare fitto fitto. Un cane con le ruote. Oh perbacco, dove s'è mai visto un cane con le ruote. Pablo, catturata l'attenzione, vorrebbe anche le coccole: dall'abbaio passa ad uno stridulo guaito che strapperebbe il cuore al più spietato dei criminali. Il solito melodrammatico... Forse ha solo percepito la presenza di prosciutto nelle sporte dei suoi ammiratori. I due viandanti vorrebbero avvicinarsi al cancelletto ma non osano; parlottano ancora un po', poi risolvono di riprendere il cammino verso casa. Immediata e fiera la protesta vocale del mio cane corso riuscito male, finché i due non escono dal raggio degli occhioni e delle orecchie di Pablito. Non c'è che dire, piccolo, sei proprio un buffone nato!

mercoledì 15 gennaio 2014

Lotta all'ultima fasciatura

Pablo... Io ho un vago sospetto, così, proprio solo una sfocata impressione... Che tu mi stia menando per il naso, se non proprio prendendo per il didietro. Non è mica possibile. Dimmi la verità, ci sei o ci fai? Qualsiasi cane al mondo, quando lo sgridi e lo prendi a scapaccioni, minimo minimo si spaventa. O almeno si offende. Oppure ancora si inalbera ed azzanna il padrone. Tu no, niente di tutto questo. Stai lì immobile sul tappeto, mi guardi come se nulla fosse, con le orecchie tese che sembrano due ripetitori... Sbuffi, mi dai il tempo di allontanarmi e ricominci tutto da capo. Io ti sento rovistare, perché sai, deficiente sì ma fino ad un certo punto; urlo, ti abbatto altri due scapaccioni sul capoccione, tanto che la povera Céline arriva tutta tremante e spaventata... E tu? Niente, imperterrito. Ancora mi guardi e pensi, sì, ammesso che quel grosso cranio vuoto sia in grado di elaborare un pensiero, pensi che io tra un attimo me ne andrò e tu tornerai a strapparti la fasciatura dalle zampe. Insomma... Guarda che io non mi sto mica divertendo, eh. Non è per bellezza, che ti avvolgo le zampe nelle bende. Tra l'altro, il verde di queste bende adesive fa a pugni con il nero del tuo pelo. Lo faccio perché sei un colabrodo, hai tanti di quei buchi da far impallidire una groviera; per una piaga che si rimargina, ce ne sono altre tre pronte a far capolino. Solo che la benda, su di te, resiste all'incirca trenta secondi. Tempo necessario perché tu la maciulli e te la mangi. Allora, intorno alla benda, ti arrotolo il nastro da pacchi; qui il tempo di rimozione e masticazione si allunga ad un minuto. Vuoi la guerra, benissimo; oltre alla benda ed al nastro da pacchi, ti avvolgo entrambe le zampe nell'inserto "Finanza e Mercati" de "Il Sole 24 Ore", tanto io non lo leggo e se anche lo leggessi non lo capirei. E poi, tra le tue orride fauci e le zampe, piazzo una confezione da sei bottiglie di acqua minerale. Azzardati a mordere anche quelle e, te lo prometto, concluderai anzitempo la tua esperienza di vita su questa terra. Ti stacco la coda e te la faccio passare da un orecchio all'altro! Possibile? Tu quelle zampe non le senti! E' come se non le avessi! Mi puoi fare questo grande favore? Dormi, mettiti giù e dormi, tu che puoi; non farmi strappare l'ugola a furia di urlare. Fammi contenta, lascia le fasciature al loro posto. Così, se riesco a renderti un po' meno rottame, posso anche concederti qualche mezz'ora in più sulle rotelle per inseguire Céline.

sabato 4 gennaio 2014

2014, altri guai in vista!

Se mai avessi avuto bisogno di conferma, adesso ce l'ho, Pablito: se tu mi chiedi di tornare a nanna dopo una sola ora trascorsa a scorrazzare per il giardino con il carrellino... Significa proprio che c'è qualcosa che non va. Del resto, sarebbe piuttosto difficile far finta che vada tutto bene. Quella piaga sulla zampa è diventata un buco, un cratere, una voragine; persino il doc, oggi, s'è messo le mani nei capelli. E via a togliere parti di tessuto necrotico, con la pila frontale in testa e le forbicine nelle mani, mentre io facevo del mio meglio per tenerti fermo. Certo, non è per il dolore che ti agiti; non senti nulla, lì dietro. Ma capisco che tu possa essere irritato, con questa gente che prima ti ribalta e poi tenta di immobilizzarti! A proposito, grazie per la pazienza. Non avermi neanche morso, perlomeno non così seriamente, da parte tua è stato un gran gesto di affetto. Già ero al limite dello svenimento, alla vista di un simile banco di macelleria... Ho fatto appena in tempo a raggiungere, dopo, una sedia, prima di stramazzare. Il doc era preoccupato che gli toccasse soccorrere anche l'umana, oltre al cane. E adesso? Mi spiace, Pablo, non so darti altra risposta che quella che ormai ti do da diversi giorni. Antibiotico, disinfettante. Mettiti giù sul tuo tappeto, fai nanna. Hai più buchi tu di una fetta di groviera. Se solo mi facessi la cortesia di non distruggere la fasciatura per almeno dieci minuti da quando io te la sistemo... Non costringermi ad infliggerti anche il collare Elisabetta, dai. Certo che la storia del sistema immunitario canino molto più robusto di quello umano deve avere ben più che un fondo di verità... Hai una ferita aperta da luglio, un'altra da un mesetto a questa parte, più quest'ultima che si è aggiunta ed ha voluto strafare per stracciare le precedenti... Un essere umano, in questa condizione, sarebbe già stato colpito da almeno quindici infezioni letali. Tu, insomma, te la cavi... Ed io in questo caso ringrazio, di tutto cuore, che tu non possa sentire nulla. Per ora, a patire per te sono solo io, va bene così. Non so cos'altro fare, è questo che mi tormenta. Del resto, ho tanti di quei dubbi irrisolti e problemi senza soluzione per me stessa, che non posso certo pensare di risolvere i guai altrui. Cerca di metterci del tuo, Pablito, tieni duro. Mettiti a nanna, grufola, mastica lo straccio e la tua bambolina, finché sonno non vi separi. E fino a domani mattina non ci pensiamo più.