sabato 1 giugno 2013

Genesi di un'"adozione del cuore"

Metti un momento della tua esistenza in cui sembra che nulla voglia andare per il verso giusto; metti la delusione di un lavoro che, ormai l'hai capito da tempo, non ci azzecca nulla con te; metti l'amara consapevolezza che stai sprecando le tue giornate, correndo come una biglia impazzita da mane a sera dietro a faccende che, se guardi proprio bene, non hanno alcun senso. Metti anche la difficoltà di avere a che fare con il tuo prossimo, al di fuori e soprattutto dentro casa... Insomma, metti di avere ormai chiaro che la tua esistenza sta perdendo i pezzi. E un video galeotto che ti passa davanti agli occhi su Facebook: un cuccioletto nero, infagottato in un pannolino bianco, che striscia sul pavimeno ed abbaia con gran foga a tutti coloro, umani ed animali, che gli stanno intorno. A corollario, un appello per un'"adozione del cuore".

Son quelle decisioni prese senza pensarci due volte: come il crollo di una diga. Una volta abbattuto il muraglione, non c'è più niente da fare, l'acqua fugge e travolge qualsiasi ostacolo o protezione. Adottare un cane paraplegico significa prendere la propria esistenza e sconvolgerla, legandola a doppio filo a lui. Proprio io che amo così tanto andare in giro a correre e pedalare... Eppure non c'è santo che tenga. Lo devo fare. Non so se mi abbia dato di volta al cervello, ma devo fare qualcosa per questa creatura. Io adoro i cani a dismisura, ne ho già due che vivono con me. Li amo alla follia, ma non è abbastanza quel che faccio per il mondo canino. I miei due avanzi di canile sono belli, in salute, vigorosi. Così è quasi troppo facile. Il cagnolino del video... Ecco: se non lo adotto io, chi mai lo farà? Non è complesso di superiorità, tutt'altro, ci mancherebbe. E' che non sono certo numerose le persone che hanno la possibilità di prendersi cura di una bestiola del genere; tra quelle che potrebbero, poi, quelle che ne hanno anche la voglia si contano sulla punta delle dita. Lo vorrei tanto, un terzo cagnotto con me; per ragioni di convivenza e vicinato, però, non potrei accogliene un terzo con l'irruenza di un cane sano. Ma il piccolo del video...

Da lì a contattare le persone che lo hanno accolto, raccogliendolo dalla strada quando aveva solo un mese, il passo è brevissimo, tempo di un clic. Il piccolo Pablo è a Catania. Sopporterebbe un viaggio così lungo, fino al Nord? In che condizioni è, cos'ha? Come posso andare a prenderlo? Treno, auto, aereo? Giorni e giorni di telefonate, messaggi, progetti fatti e sconvolti. E intanto le reazioni di amici e conoscenti. Ti condiziona la vita. Come potrai accudirlo? Dove lo sistemerai? E' un cane che raggiungerà i cinquanta chili di peso, come farai quando sarà adulto? E le piaghe da decubito? Ed i problemi di circolazione? E le infezioni?A farmi cambiare idea provano proprio tutti, veterinari, amici, conoscenti. Chi non s'azzarda ad esprimere un'opinione, la risolve con un eloquente silenzio. Tutti tranne uno, ma su di lui avrei scommesso mani e piedi: quando lo chiamo, per chiedergli se potrà aiutarmi a "presentare" il piccolo Pablo ai due bestioni di casa senza rischiare la sua già disgraziata vita, D. reagisce all'idea con entusiasmo. Del resto, lui con il genere canino è una sorta di pifferaio magico, in senso buono, anzi buonissimo; vive per i cani e con i cani. E poi c'è Matteo, che forse qualche obiezione l'avrebbe anche sulla punta della lingua, ma tace e mi offre il suo aiuto, con un certo spirito suicida, perché l'accetterò, eccome se l'accetterò!

Non è poi che io sia immune da dubbi, anzi. Ne nutro un esercito. Mi pongo più o meno le stesse domande che gli scettici mi sbattono sul naso: come faccio? Dove lo sistemo? Che necessità avrà? Che prospettive di vita? Sarà ben accolto in casa o sarà sbranato? In famiglia non dico nulla; preferisco evitare commenti sgradevoli. Questo cagnotto non potrà stare in ufficio come gli altri due, quindi a mia sorella non dovrebbe dare troppo fastidio; quanto a mia mamma, so che non impiegherà molto tempo ad innamorarsene, anche se forse il primo impatto sarà traumatico.

Il buon Giorgio, il mio amico veterinario, da professionista fa il possibile per convincermi a rinunciare allo sciagurato progetto, con argomenti di fatto inattaccabili, ma ormai mi conosce bene e sa che farmi cambiare idea, quando ho imboccato una strada, è quasi impossibile. Non sono stata fornita di retromarcia. Preso atto della sconfitta, da amico, si adegua e si offre di accompagnarmi.

La mia incrollabile determinazione vacilla di fronte alla montagna di complicazioni per il viaggio. Non voglio assolutamente chiedere ai volontari che mi portino Pablo fin qui; è fuori discussione. Fanno già i miracoli per arginare la situazione drammatica dei randagi in Sicilia... Le loro risorse, economiche, fisiche e di tempo, devono restare destinate a quello scopo. Vado giù io. Ma come? In auto? Ma dove? A Napoli, a Reggio Calabria, facendo in modo di incontrare laggiù l'attuale mamma adottiva di Pablo per la "consegna"? Costo e tempo da dedicare al viaggio sarebbero proibitivi... E l'aereo? Io non ho mai volato in vita mia... A parte il terrore - il piccolo Pablo mi pare una ragione più che valida per rischiare la pelle nei cieli - c'è il fatto che non so da che parte si cominci per prenotare un volo, men che meno quando c'è di mezzo un bagaglio in stiva... Vivo!!! E' un'odissea tra call center, richieste di aiuto agli amici viaggiatori d'abitudine, compagnie, orari, giorni... Alla fine mi arrendo: resta la carta dell'agenzia viaggi. Volo prenotato, spostato, riprenotato: domenica 24 marzo, decollo da Torino alle ore 9.20 e ridecollo da Catania poco prima delle 14. Giusto il tempo di baciare la terra appena scesa dall'infernale aggeggio volante e fare la conoscenza di Tanya e Maria Vittoria, splendide volontarie di un rifugio a San Pietro Clarenza (CT). La mamma adottiva di Pablo, Filomena, quella che l'ha accolto in casa piccolissimo e malconcio, non ha avuto cuore di esserci e di vederlo partire. Ha tutta la mia comprensione... Doversi separare da una creaturina come Pablo dev'essere straziante. Ma s'ha da fare, altri cagnotti e cagnoni hanno bisogno di lei. Ammiro a dismisura queste persone che combattono ogni giorno in prima linea contro le difficoltà e le malattie di troppe povere bestie. Io non ne avrei cuore, pur con tutta la passione che nutro per il genere canino. Impazzirei, credo. Per adesso, il mio "fare qualcosa" sarà occuparmi di un piccolo sfortunatissimo ma vivacissimo cagnotto nero, che vedo per la prima volta infagottato in una bellissima tutina verde da bambino. Coraggio Pablo. Coraggio anche a me. Si parte!

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